Ormai sono diversi anni che la produzione tessile sta facendo registrare un trend in forte aumento. E le previsioni per il futuro portano esattamente lo stesso segno, facendo immaginare degli scenari certamente ben rosei. Decenni or sono, è chiaro che i vestiti andavano a soddisfare più che altro un bisogno primario, visto che rappresentavano proprio dei beni di prima necessità e la produzione tessile era importante in tal senso.
Al giorno d’oggi, le cose sono notevolmente cambiate, dal momento che gli abiti che indossiamo si sono trasformati a tutti gli effetti in beni di consumi e in oggetti alla moda. Di conseguenza, è chiaro che anche il loro ciclo di vita temporalmente è molto più limitato. D’altro canto, però, è giusto mettere in evidenza come dal punto di vista dei materiali, i vestiti moderni sono formati da un mix di elementi. Un aspetto che differenzia tantissimo le produzioni attuali rispetto a quelli del secolo scorso, quando invece i vestiti erano realizzati con materiali composti al 100% da fibre naturali, come ad esempio il cotone piuttosto che la lana.
Oggigiorno, la complessità della composizione a livello di materiali dei vestiti è piuttosto risaputa. Basti pensare che circa il 63% delle fibre è legato all’impiego di prodotti petrolchimici, che chiaramente sono particolarmente impattanti dal punto di vista delle emissioni nocive. Il rimanente 37% delle fibre, invece, è caratterizzato dalla presenza del cotone.
D’altro canto, però, anche la coltivazione del cotone ha certamente i suoi aspetti negativi, dal momento che i vari processi comportano l’uso di quantitativi di acqua importanti e, piuttosto di frequente, prevede l’impiego intensivo di pesticidi. Nelle fasi successive della produzione, poi, i diversi tessuti sono oggetto di trattamenti specifici, come nel caso della finitura, ma anche della tintura e della stampa.
Tutti processi che prevedono necessariamente l’uso di risorse naturali e, di conseguenza, impattano sull’ambiente, comportando un ulteriore quantitativo di emissioni non solo di CO2, ma anche di polveri sottili. Proprio per questo motivo, nell’ottica più generale di maggiore sostenibilità, tutti questi processi stanno diventando eccessivamente impattanti e si è alla ricerca di soluzioni alternative. Tante aziende si stanno orientando su pratiche di riuso e diverse tecnologie di riciclo tessile, il cui intento è quello non solo di abbassare la produzione di fibre vergini, ma al contempo consente pure di ottimizzare l’uso di coloranti e di risorse produttive.
Servono soluzioni innovative
Il recupero delle fibre tessili da materiali di scarto è oggetto di un gran numero di ricerche e di sperimentazioni. Va dato merito a diverse aziende leader in questo settore, che stanno portando avanti diverse lavorazioni all’avanguardia.
L’azienda Ghirarduzzi, nel suo campo, ha sperimentato e realizzato una nuova macchina in grado di lavorare il materiale di scarto proveniente dal riciclo del PFU che è in grado di recuperare di una percentuale di fibre tessili.
Si tratta di appositi impianti per il recupero e la separazione dei materiali: una percentuale dei prodotti in tal modo ricavati, quindi, sono proprio degli scarti tessili, che poi vengono utilizzati alla stregua di fonte energetica in ambiti specifici, come il campo siderurgico o quello dei cementifici.
Il riciclo delle fibre tessili
Si sono moltiplicati negli ultimi anni gli studi e le sperimentazioni: una delle soluzioni che si sono affermate con il passare del tempo riguarda il riciclo delle fibre tessili, sfruttando un apposito sistema di riciclaggio meccanico. Stiamo facendo riferimento a un sistema molto diffuso, che è legato a diverse procedure di sfilacciamento del materiale. Successivamente, si procede con la parallelizzazione delle fibre, all’interno di un nastro che procederà poi con la filatura. In seguito, si può optare per dei trattamenti chimici, come ad esempio il carbonizzo della lana.
Spesso e volentieri, tale sistema che prevede il riciclo delle fibre tessili comporta la degradazione dei materiali e, di conseguenza, si tratta di un processo che può essere eseguito solo un certo numero di volte. Il filato che si ricava grazie a questo tipo di procedura è caratterizzato dalla presenza di un vero e proprio mix di materiale che è stato riciclato, ma comunque vergine, in grado di garantire sempre un alto livello non solo di resistenza, ma anche a livello qualitativo. Caratteristiche che, entrambe, si rivelano fondamentali poi per l’utilizzo frequente.
Questo tipo di sistema di riciclo delle fibre tessili è impiegato in larga parte per effettuare il riciclo non solo della lana, ma pure del cotone. I materiali misti e pure quelli sintetici, come nel caso del poliestere e dell’acrilico, possono essere oggetto di apposito sistema di riciclo, ma solo all’interno di un processo che viene denominato a ciclo aperto e il materiale che si ricava può essere utilmente sfruttato nell’ambito della produzione di TNT oppure di imbottiture da usare poi per materiali isolanti.
Il sistema di riciclo termomeccanico
In questo caso, ci troviamo di fronte a un processo che si caratterizza per prevedere la fusione delle fibre sintetiche. Grazie a tale procedura, queste utilmente possono essere filate di nuovo oppure si possono modellare dando loro le forme più svariate. Detto questo, è giusto sottolineare come il riciclo delle fibre di elastan è una delle procedure su cui serve ancora fare dei passi in avanti a livello di ricerca, dato che comporta numerose difficoltà. d’altro canto, il sistema di riciclo termomeccanico non è ancora così diffuso, soprattutto per via delle elevate spese di lavorazione che comporta.
Il sistema delle fibre tessili con sistema di riciclo chimico
Secondo diversi studi, il sistema di riciclo chimico garantisce un gran numero di opzioni per conservare i materiali sempre in un ciclo chiuso. Ad ogni modo, garantisce un apporto molto limitato (circa l’1%) al riciclo dei rifiuti tessili. Due i procedimenti maggiormente diffusi, ovvero il riciclo dei polimeri e dei monomeri.